La nuova diagnosi dell’osteonecrosi delle ossa mascellari e sua prevenzione
L’Osteonecrosi delle ossa mascellari (OsteoNecrosis of the Jaw – ONJ) associata a farmaci è una complicanza possibile in pazienti con patologia oncologica ed osteometabolica in trattamento con farmaci definiti a rischio caratterizzata dalla progressiva distruzione e necrosi dell’osso mandibolare e/o mascellare. Il segno clinico maggiore di ONJ è l’esposizione dell’osso necrotico in cavità orale; tuttavia è sempre più frequente la presenza di segni clinici minori in assenza di esposizione ossea. Per questo, nel caso di sospetto di ONJ, la diagnosi clinica deve essere supportata da indagini radiologiche, finalizzate oltre che alla conferma diagnostica anche alla definizione dell’estensione della malattia, indispensabile per la sua stadiazione e terapia. A tali propositi, le indagini radiologiche più utilizzate sono l’ortopantomografia (OPT) e le radiografie endorali, classificate di I livello, e la tomografia computerizzata (TC), sia a spirale che a fascio conico (CBCT), definita di II livello. Tuttavia, la difficoltà di inquadramento eziopatogenetico e le complessità gestionali clinico-terapeutiche della patologia, giustificano la primaria necessità di un approccio preventivo destinando al medico della salute orale un ruolo di primaria importanza.
Lesioni a rischio e carcinoma iniziale del cavo orale. Diagnosi precoce e management
Il termine “lesione precancerosa”, come quello di “condizione precancerosa”, impiegati per lungo tempo in letteratura internazionale, sono stati superati dalla definizione “disordini orali potenzialmente maligni” (OPMD) per sottolineare che non necessariamente per nessuna delle patologie considerate il fenomeno di trasformazione, anche a lunga distanza, sia comunque inevitabile. La letteratura riporta percentuali estremamente variabili: dal 10 all’80% di comparsa di carcinomi su queste lesioni.
Indipendentemente dalla specifica patologia considerata, che vede potenziali cause e fattori di rischio differenti, l’obiettivo della gestione terapeutica di queste lesioni dovrebbe risiedere nella prevenzione della loro trasformazione in cancro. Purtroppo la letteratura non riporta in maniera così netta questa possibilità. A tutt’oggi non esistono marker biologici o istologici che siano realmente predittivi il processo di cancerizzazione e la terapia medica o chirurgica (incluso laser e nuove tecnologie e terapia fotodinamica) presenta alti tassi di recidiva e ugualmente di degenerazione neoplastica. Un obiettivo che risulta invece fondamentale è il processo diagnostico volto ad intercettare precocemente le lesioni più gravi per provvedere alla loro radicalizzazione e controllo nel tempo. La diagnosi precoce passa attraverso un inquadramento delle lesioni a rischio e del paziente a rischio.
Recentemente in letteratura sono state descritte sempre più frequentemente tecniche diagnostiche non invasive che aiutano ad identificare le parti del tessuto qualitativamente alterato o già francamente neoplastico così da procedere ad un prelievo mirato sull’area più significativa e presumibilmente grave della lesione o ad estendere in margini di sicurezza l’eventuale asportazione chirurgica. L’ autofluorescenza (AF), la chemiluminescenza (CL), il blu di toluidina (TB), la chemiluminescenza associata al blu di toluidina (CLTB) sono le tecniche maggiormente diffuse e sperimentate ed offrono ottimi risultati in merito a sensibilità e specificità sia nell’identificazione di displasie severe che di carcinomi inizialmente infiltranti.
Nonostante vengano riportati in letteratura discrepanze tra le due fasi di accertamento istologico, la biopsia pre-operatoria e l’esame istologico del pezzo prelevato nel successivo intervento rappresentano l’elemento fondamentale che condiziona rispettivamente l’ opzione terapeutica ed il timing del follow-up
Il primo passo nella gestione di queste malattie è l’identificazione e la rimozione degli eventuali fattori di rischio locali (traumi, materiali odontoiatrici, abitudini voluttuarie). Se dal controllo successivo a distanza di due settimane non si verifica la regressione della lesione, si procede all’accertamento bioptico. In letteratura vengono riportati un orientamento terapeutico di tipo medico, di tipo chirurgico o il “wait and see policy”. La terapia chirurgica potrà essere effettuata mediante bisturi tradizionale, apparecchi elettromedicali (elettrobisturi, radiofrequenza, risonanza quantica molecolare), criochirurgia e le diverse lunghezze d’onda laser (diodi, neodimio, KTP, erbio, CO2). A questo proposito bisogna sottolineare che vengono riportate in letteratura ampie dimostrazioni di modificazioni nucleari nell’epitelio clinicamente sano limitrofo alle lesioni. Questo spiegherebbe il rischio di recidiva (tra il 7,7 ed il 38,1%) e l’evoluzione maligna (1.2%) tra il primo ed il terzo anno dall’escissione chirurgica indipendentemente dallo strumento utilizzato. Non rimane che identificare quella strategia operativa che possa offrire le maggiori agevolazioni sia da parte dell’operatore che del paziente. I mezzi diagnostici non invasivi, precedentemente citati, potrebbero aiutare l’operatore nella scelta dell’estensione chirurgica. La tecnologia laser, rispetto le altre metodiche, può assicurare alcuni vantaggi operativi e biologici. L’intervento così condotto determina una migliore compliance del paziente con riduzione dei tempi operatori, minori esiti cicatriziali ed un controllo dei disagi post operatori per gli effetti biostimolanti comuni a varie lunghezze d’onda.
Trattamento odontoiatrico nel paziente in terapia coi nuovi farmaci anticoagulanti
La sessione è rivolta alla discussione delle più aggiornate linee guida per la gestione del paziente a rischio di sviluppare eventi avversi in caso di malpractice.
La prima relazione fa riferimento alla identificazione precoce del paziente con lesioni a rischio di sviluppare il cancro orale. La seconda relazione prevede le più attuali linee guida per la gestione del paziente a rischio di sviluppare osteonecrosi dei mascellari. La terza relazione pone il problema della gestione del paziente in terapia con i nuovi anticoagulanti orali a rischio di sviluppare eventi trombo-embolici.